Le piaceva correre più di ogni altra
cosa al mondo. Pensava che se alla sua età non si fosse data da fare per
tenersi in forma sarebbe invecchiata molto velocemente. Voleva mantenere la
fama di donna più bella dell’ufficio e lo voleva a tutti i costi nonostante
l’assunzione di nuove apprendiste tanto giovani quanto smaliziate.
Lorenza correva ormai da mezzora lungo
la strada che costeggiava il boschetto del suo ridente paesino. Era conscia del
fatto che l’unico a sorridergli era proprio il paesino perché gli abitanti
odiavano la sua famiglia e, nel vederla, provavano lo stesso sentimento anche
nei suoi confronti presi dalla stessa ignoranza che qualche secolo fa aveva
fatto strage di “streghe” nei paesi infestati dall’inquisizione.
Amava correre perché le dava un senso
di libertà e di leggerezza. Sentire l’aria fredda della sera che le pizzicava
le guance rendendole irrimediabilmente rosse per ore la faceva sentire viva.
Lorenza disprezzava i suoi genitori
tanto quanto i suoi compaesani ma, schiacciata dall’autorità del padre che
l’avrebbe voluta alla guida delle aziende di famiglia al momento della sua
morte, non aveva mai avuto il coraggio di andarsene per cercare una sua strada.
A dire il vero, una volta, aveva provato a farlo ma la notizia della
malattia del padre l’aveva fatta desistere dal partire. Nonostante i suoi
genitori fossero persone completamente diverse da lei, non riusciva a voltare
le spalle all’uomo che l’aveva generata sapendo che stava per morire.
Neanche al momento della diagnosi li
aveva visto piangere, erano persone emotivamente morte, o più probabilmente mai
nate. Evidentemente stavano assieme solo per interesse dato che entrambi erano
ereditieri di società molto importanti una volta rivali tra loro.
Lorenza era figlia unica ed era grata a
Dio di essere nata dato lo scarso interesse affettivo che la madre dimostrava
per suo padre.
Cercò di scacciare quei pensieri nei
quali si era più volte immersa senza trovare conforto se non nella corsa.
Si accorse solo allora che era rimasta
ben poca luce e che le nuvole da bianche pecore di zucchero filato erano
diventate nere onde di petrolio. Guardò
l’orologio-conta passi che aveva allacciato al braccio e vide che si era fatto
tardi, spesso correva più veloce con la mente che con le gambe e, senza
accorgersi, si ritrovava nel buoi, lontana da casa e senza più energie. A volte
chiamava uno degli autisti di famiglia ma altre volte optava per un ritorno a
piedi, tanto, i suoi genitori, non si sono mai preoccupati troppo della sua
assenza, anzi probabilmente non la notavano neppure.
Durante l’adolescenza aveva cercato
disperatamente di farsi largo nei loro cuori sia nel bene che nel male: aveva
alternato anni scolastici da prima della classe a condotte teppistiche
accompagnate da continui richiami ai famigliari che, per loro conto, inviavano
i governanti a parlare con il preside.
All'università poi, se l’era presa
molto con calma, frequentava più ragazzi che lezioni scegliendo accuratamente
quelli più scapestrati e pericolosi.
Aveva anche provato a portarne qualcuno
a casa senza riuscire a suscitare nessun tipo di interesse o di sdegno da parte
dei famigliari. Quando capì che anche quella tattica era inutile, si rassegnò e
finì in breve tempo il suo percorso universitario con ottimi risultati tra lo
stupore dei suoi ex compagni e i frammenti di cuori spezzati dei suoi ex
ragazzi.
Quella sera non aveva voglia di
chiamare nessuno, si girò sui suoi passi e, aprendo vistosamente le braccia per
permettere alla respirazione di rallentare il battito cardiaco, cominciò a
camminare.
Alternava passi ben distesi a bracciate
e boccate d’aria in modo un po’ scoordinato ma comunque efficace. Stava ben attenta
a non inspirare nei momenti in cui passavano le macchine ma sceglieva sempre
strade poco trafficate e con larghe piste pedonali.
Una goccia d’acqua si posò sul suo naso
leggermente aquilino incrociandole gli occhi, si stava per mettere a piovere.
Lorenza amava il caldo e odiava le docce fredde, pur essendo quasi esausta si
obbligò a rimettersi a correre per evitare la pioggia o, per lo meno, per
trovare un posto dove poter aspettare all'asciutto l’arrivo dell’autista una
volta chiamato.
Altre gocce andarono a posarsi tra i
suoi lunghi capelli rossi quasi ricci mentre altre ancora le bagnavano le
labbra sottili, lei le assaggiò trovandole senza gusto come la sua vita.
Aveva davanti un viale di lampioni
accesi a poca distanza l’uno dall'altro le sembravano tanti fiammiferi giganti
che iniziavano a preoccuparsi della pioggia. Quell'immagine mentale le ricordò
il mondo fatato nel quale si rifugiava da piccola: un posto dove la magia
sostituiva la tecnologia e gli esseri umani erano banditi, tutti tranne lei.
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Per una persona amante del jogging non
avere i piedi per terra e la testa per aria può risultare pericoloso. Lorenza
infatti non si rese conto che il terreno asfaltato stava lasciando il posto a
una terra battuta molto più dissestata, una buca ingannò i suoi passi stanchi
ma sicuri facendola cadere a terra. Distorsione alla caviglia.
Aveva letto che c’erano vari livelli di
distorsione ma, qualsiasi fosse il suo, non le permetteva di reggersi in piedi
e faceva dannatamente male.
Un sussulto di rabbia e dolore si
presentò ai suoi denti serrati mentre, nervosa più che mai, estraeva il
cellulare per chiamare l’autista . La pioggia aumentava.
Il dolore stava diventando sempre più
insistente cosa che le fece invidiare i suoi amici fiammiferi, ancora accesi, luminosi
e soprattutto…eretti.
Mentre stava sfogliando la rubrica alla
ricerca del numero di cui necessitava, vide che una macchina le stava vicino.
Ne scese una figura tarchiata che, coprendosi goffamente la testa con un
quotidiano, le si avvicinò chiedendo: “Ehi tutto bene? Ti sei fatta male? Serve
un aiuto?”. Lorenza era esterrefatta e non sapeva se era più stupida la domanda
ricevuta o la risposta ovvia che stava per fornire: “Devi essere un tizio
perspicace a mille! Si mi sono fatta male e non riesco a camminare,” disse
stizzita ” per favore fammi entrare in macchina fino a quando non mi verranno a
prendere, è questione di pochi minuti…”.
L’uomo rispose che andava bene e,
mettendosi il giornale sotto braccio, la aiutò a salire nella macchina tedesca
che aveva comprato da un concessionario di auto usate poche ore prima, il
venditore l’aveva convinto dicendo che neanche col peggiore degli incidenti
l’avrebbe mai messa fuori uso.
Michele Brugiolo
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