Ad un
certo punto una forte sensazione di vertigine la colse, la stessa di una caduta
durante il sonno, talmente fastidiosa da riportarla tutta ad un tratto a fare
di nuovo i conti con la realtà. Aperti gli occhi avvertì di non avere più la
terra sotto i piedi, un attimo di panico la colse prima di accorgersi che
qualcuno la stava portando, come un peso morto, in braccio, si girò e riconobbe
gli occhiali ed il naso dell’uomo a cui fino a pochi minuti prima aveva
sbraitato contro. Forse esagerando, pensò.
Quell’uomo non molto alto (Laura aveva la sensazione che, con buona
probabilità, dei due, la più alta fosse lei), grassoccio, sudava ed ansimava
per la fatica e per giunta gli si erano pure appannate le lenti degli occhiali.
Sentiva le sue mani che la reggevano, la sinistra infilata sotto l’ascella
mentre con la destra le afferrava una coscia nel tentativo di dare maggiore stabilità
al braccio che stava improvvisando a seggiola. Sentiva le goffe dita di lui che
sprofondavano fra i suoi abiti, certo non c’era malizia alcuna in quelle mani e
certo fra la sua pelle e le dita di lui c’erano abbondanti strati di cotone ed
il panno in lana del montgomery verde ad interporsi, ma il pensare che un
estraneo e, soprattutto un tipo del genere la stesse toccando… rabbrividì e
nello svincolarsi cadde a terra.
Avvertì il terriccio umido della campagna sotto i piedi scalzi e sui palmi
delle mani, si guardò intorno ed altro non vedeva che lunghe distese di campi,
infinita campagna interrotta soltanto da qualche fosso che scintillava alla
luce del primo quarto di luna ed un filare di pioppi cipressini.
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Nient’altro.
Non una casa, non una strada asfaltata, né fari di macchine in lontananza o
finestre di case illuminate.
La colse il panico e senza pensare cominciò di nuovo a urlargli contro, una
valanga di imprecazioni, offese e domande, lui che se ne stava lì in piedi a
fissarla, inebetito senza aprir bocca, non sapeva cosa fare, cosa risponderle. La
situazione per lui non era facile, ma era giunto il momento di spiegarle chi fosse,
raccontarle la sua storia, che incombeva ancora più scomoda ora che si trovava
nel bel mezzo del nulla con una sconosciuta, forse persino minorenne ed una
macchina, la sua vecchia Mercedes SEC, uscita di strada. Ma ora dovevano, insieme,
decidere sul da farsi. Trovare una qualche soluzione.
Velocemente nella sua testa ricompose gli avvenimenti che gli erano accaduti in
quegli ultimi sette anni, sette anni che avrebbe voluto cancellare, cercò
quindi di mettere assieme le parole per costruire le frasi che servivano a dar
forma a quel racconto che mai avrebbe voluto dover raccontare, ma che ora era
costretto a fare. “Stai bene?”, Laura si era calmata e alzatasi cercò, per
quanto quel buio le permettesse di fare, di darsi un’occhiata generale,
sembrava essere tutto a posto, aveva solo i jeans un po’ sporchi di terra ed
ora, era senza entrambe le infradito.
Alzò lo sguardo verso di lui, ma senza più rabbia. Per la prima volta lo guardò
attentamente alla luce della luna che tutto sommato abbastanza bene illuminava
la notte ed il suo volto. Improvvisamente Laura si mise a ridere, anche se
cercava di farlo a denti stretti per non farsi notare da lui, doveva continuare
a mantenere la parte della dura, della furibonda, ma non riuscendoci decise di
giocare a carte scoperte, anche lei. Non
aveva più voglia di recitare quella parte, così decise di abbozzare un sorriso
e spiegare il perché di quell’improvviso momento di ilarità, “Vedo che il rosa ti
dona!”, l’uomo inizialmente non capendo, abbassò lo sguardo cercando di darsi
un’occhiata e vide le bretelle dei manici dello zaino di lei, intuì la buffa
immagine di sé che le stava restituendo con indosso quello zainetto rosa.
“Certo che mi dona, ho un completo blu addosso!”. Forse non era poi così tonto
e forse aveva anche un briciolo di umorismo. Ma proprio non c’eravamo con la
musica, né tanto meno con la guida.
“Certo che come autista fai proprio schifo… Spiegami come si fa ad uscire di
strada andando ai 60 all’ora in una strada come quella, perché, davvero… Che
frana!” “Già, ma il parabrezza appannato… e quella macchina che è sbucata dal
nulla tentando un sorpasso impossibile, o sbandavo o ci andavamo addosso, non è
che ci fossero molte altre alternative, ragazzina! L’importante è che tu non ti
sia fatta male, non te ne sei fatta, vero?” “No, non mi pare… mi sento ok,
considerato quello che è appena accaduto, comunque piantala di chiamarmi
ragazzina, non sono così piccola, che ti credi?” “E quanti anni avresti?
Quindici? Sedici?” “No, venticinque!”
Brigitta Destro
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