martedì 29 gennaio 2013

6_ Polesine

“Tu non sai ancora il mio nome, com’è che non me lo chiedi?” “Se è per questo anche tu non hai ancora chiesto il mio…” “Già, abbiamo saltato le presentazioni quando sei salita in macchina. Sono Giulio, piacere!” e dicendolo le tese la mano, lei gliel’afferrò in una stretta piuttosto energica, qualcuno, fin da quand’era piccola, le aveva insegnato che si faceva così, che bisognava stringere forte.
“Mi chiamo Laura e il mio non è molto un piacere!” “Eh… Non posso darti torto, Laura” passò qualche secondo prima che l’uomo riprendesse a parlare “Bene, ora che ci conosciamo, ora che è successo il casino che è successo e dovendo decidere, assieme, sul da farsi, penso sia giusto spiegarti alcune cose…
Diversi anni fa, un po’ com’è successo stasera con te, avevo offerto un passaggio ad una ragazza, anzi inizialmente mi ero fermato a soccorrerla, perché l’avevo vista cadere. Aveva appena cominciato a piovere e lei, bellissima mi piomba in auto e mi chiede se potessi offrirle riparo per qualche minuto che presto qualcuno sarebbe venuto a prenderla. Ricordo come fosse ieri quel giorno. Ad un certo punto mi strilla di portarla via di lì, di correre lontano ed io intanto non sapevo cosa fare, lei piangeva, piangeva disperata… Metto in moto la macchina e prendiamo a girovagare senza una meta precisa, un po’ alla volta ritorna in sé e comincia a raccontarmi la sua storia e di come si sentisse oppressa da quella vita che non le apparteneva.” Giulio interruppe per qualche momento il racconto, chiuse gli occhi come a ripercorrere meglio quel passato che stava raccontando, quasi come lo stesse vedendo dal di fuori. Laura d’altro canto aveva cominciato a spaventarsi, immaginava che quel tale andasse alla ricerca di ragazzine da caricare in macchina, violentare ed ammazzare dopo ore di lunghe torture ed ora non aveva neanche più il coltello fra le mani, con un filo di voce gli chiese: “Perché mi stai raccontando questo?” “Non ti spaventare… ti spiego tutto, è che è così… cioè… questo incidente proprio non mi ci voleva… vedi… ora non trarre conclusioni affrettate, ma… è non è nemmeno un anno che sono uscito di carcereCarcere?!? Aveva capito bene? Laura non sapeva che fare, era pietrificata, voleva scappare, ma non ce la faceva a muoversi, mentre lui parlava lei pensava che le sue paure erano fondate, pensava a cosa fare nel caso in cui le si fosse avvicinato “un calcio alle palle, sì, è l’unica cosa che posso fare…”.
L’uomo riprese a parlare, pur sapendo che ormai lei era terrorizzata da lui, dalla storia che aveva raccontato fino a quel momento, e che anche spigandole i fatti com’erano andati veramente, era praticamente impossibile che lei gli credesse. Era spacciato, sarebbe finito di nuovo al fresco. Ingiustamente, ancora.


“Ti dicevo, andando per ordine… Quella donna, Lorenza, di lì a pochi mesi, sarebbe diventata mia moglie. Mi pareva impossibile che una donna tanto bella e intelligente e dolce, in gamba… era meravigliosa… potesse volere me, si fosse innamorata di questo bizzarro uomo, per niente attraente… eppure così è andata, strana la vita a volte, eh?  Ma come si dice, quello che ti viene dato, poi ti viene anche ripreso e la maggior parte delle volte con tanto di interessi.
Lorenza era l’unica figlia di una ricca famiglia del Ferrarese, l’azienda del padre era una fra le maggiori fabbriche nel settore del siderurgico in Italia ed io, un povero insegnante di chimica in un istituto tecnico di un piccolo paese del Polesine, potrai ben immaginare la gioia con cui mi hanno accolto in quella Casa.


E Lorenza che di quella vita non ne poteva più. Appena sposati decise di tagliare completamente i rapporti con i suoi genitori, preferiva una vita, ai miei occhi… mediocre. Ma per lei non era così, era felice di quel poco che potevo offrirle, era felice se ogni tanto la portavo fuori in laguna quando andavo a pesca… 


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lei se ne stava lì distesa a prendere il sole, su quella barchetta scassata, a leggere i suoi libri, spesso 
in inglese, voleva tenere allenata la lingua perchè “non si sa mai…”, alternandoli a qualche rivista da femmina. 

Era felice di andarsene in giro in bici, sbrigare qualche commissione, amava il lavoro in quella piccola libreria di paese, le piaceva cucinare, prendersi cura di cose semplici, forse banali. Ma non è così scontato, per chi, come lei, non ha mai avuto la possibilità di fare qualcosa di diverso da quello che le si imponeva. 
Bando alle ciance, sto divagando… un giorno di Aprile, era un venerdì, venerdì nove di tre anni fa, per l’esattezza, rientro a casa da lavoro, erano le sei di sera, mi ero fermato a scuola anche nel pomeriggio, perché c’era stata un’assemblea… e lei non c’era. Così su due piedi ho pensato che fosse andata a correre, faceva jogging quasi tutte le sere e quella sera era particolarmente calda per essere l’inizio di Aprile. Da quel momento in poi non l’ho più vista, Lorenza è sparita.”

Brigitta Destro

mercoledì 16 gennaio 2013

5_ I fiammiferi giganti


Le piaceva correre più di ogni altra cosa al mondo. Pensava che se alla sua età non si fosse data da fare per tenersi in forma sarebbe invecchiata molto velocemente. Voleva mantenere la fama di donna più bella dell’ufficio e lo voleva a tutti i costi nonostante l’assunzione di nuove apprendiste tanto giovani quanto smaliziate.
Lorenza correva ormai da mezzora lungo la strada che costeggiava il boschetto del suo ridente paesino. Era conscia del fatto che l’unico a sorridergli era proprio il paesino perché gli abitanti odiavano la sua famiglia e, nel vederla, provavano lo stesso sentimento anche nei suoi confronti presi dalla stessa ignoranza che qualche secolo fa aveva fatto strage di “streghe” nei paesi infestati dall’inquisizione.
Amava correre perché le dava un senso di libertà e di leggerezza. Sentire l’aria fredda della sera che le pizzicava le guance rendendole irrimediabilmente rosse per ore la faceva sentire viva.
Lorenza disprezzava i suoi genitori tanto quanto i suoi compaesani ma, schiacciata dall’autorità del padre che l’avrebbe voluta alla guida delle aziende di famiglia al momento della sua morte, non aveva mai avuto il coraggio di andarsene per cercare una sua strada.
A dire il vero, una volta,  aveva provato a farlo ma la notizia della malattia del padre l’aveva fatta desistere dal partire. Nonostante i suoi genitori fossero persone completamente diverse da lei, non riusciva a voltare le spalle all’uomo che l’aveva generata sapendo che stava per morire.
Neanche al momento della diagnosi li aveva visto piangere, erano persone emotivamente morte, o più probabilmente mai nate. Evidentemente stavano assieme solo per interesse dato che entrambi erano ereditieri di società molto importanti una volta rivali tra loro.
Lorenza era figlia unica ed era grata a Dio di essere nata dato lo scarso interesse affettivo che la madre dimostrava per suo padre.
Cercò di scacciare quei pensieri nei quali si era più volte immersa senza trovare conforto se non nella corsa.
Si accorse solo allora che era rimasta ben poca luce e che le nuvole da bianche pecore di zucchero filato erano diventate  nere onde di petrolio. Guardò l’orologio-conta passi che aveva allacciato al braccio e vide che si era fatto tardi, spesso correva più veloce con la mente che con le gambe e, senza accorgersi, si ritrovava nel buoi, lontana da casa e senza più energie. A volte chiamava uno degli autisti di famiglia ma altre volte optava per un ritorno a piedi, tanto, i suoi genitori, non si sono mai preoccupati troppo della sua assenza, anzi probabilmente non la notavano neppure.
Durante l’adolescenza aveva cercato disperatamente di farsi largo nei loro cuori sia nel bene che nel male: aveva alternato anni scolastici da prima della classe a condotte teppistiche accompagnate da continui richiami ai famigliari che, per loro conto, inviavano i governanti a parlare con il preside.
All'università poi, se l’era presa molto con calma, frequentava più ragazzi che lezioni scegliendo accuratamente quelli più scapestrati e pericolosi.
Aveva anche provato a portarne qualcuno a casa senza riuscire a suscitare nessun tipo di interesse o di sdegno da parte dei famigliari. Quando capì che anche quella tattica era inutile, si rassegnò e finì in breve tempo il suo percorso universitario con ottimi risultati tra lo stupore dei suoi ex compagni e i frammenti di cuori spezzati dei suoi ex ragazzi.
Quella sera non aveva voglia di chiamare nessuno, si girò sui suoi passi e, aprendo vistosamente le braccia per permettere alla respirazione di rallentare il battito cardiaco, cominciò a camminare.
Alternava passi ben distesi a bracciate e boccate d’aria in modo un po’ scoordinato ma comunque efficace. Stava ben attenta a non inspirare nei momenti in cui passavano le macchine ma sceglieva sempre strade poco trafficate e con larghe piste pedonali.
Una goccia d’acqua si posò sul suo naso leggermente aquilino incrociandole gli occhi, si stava per mettere a piovere. Lorenza amava il caldo e odiava le docce fredde, pur essendo quasi esausta si obbligò a rimettersi a correre per evitare la pioggia o, per lo meno, per trovare un posto dove poter aspettare all'asciutto l’arrivo dell’autista una volta chiamato.
Altre gocce andarono a posarsi tra i suoi lunghi capelli rossi quasi ricci mentre altre ancora le bagnavano le labbra sottili, lei le assaggiò trovandole senza gusto come la sua vita.
Aveva davanti un viale di lampioni accesi a poca distanza l’uno dall'altro  le sembravano tanti fiammiferi giganti che iniziavano a preoccuparsi della pioggia. Quell'immagine mentale le ricordò il mondo fatato nel quale si rifugiava da piccola: un posto dove la magia sostituiva la tecnologia e gli esseri umani erano banditi, tutti tranne lei.



Per una persona amante del jogging non avere i piedi per terra e la testa per aria può risultare pericoloso. Lorenza infatti non si rese conto che il terreno asfaltato stava lasciando il posto a una terra battuta molto più dissestata, una buca ingannò i suoi passi stanchi ma sicuri facendola cadere a terra. Distorsione alla caviglia.
Aveva letto che c’erano vari livelli di distorsione ma, qualsiasi fosse il suo, non le permetteva di reggersi in piedi e faceva dannatamente male.
Un sussulto di rabbia e dolore si presentò ai suoi denti serrati mentre, nervosa più che mai, estraeva il cellulare per chiamare l’autista . La pioggia aumentava.
Il dolore stava diventando sempre più insistente cosa che le fece invidiare i suoi amici fiammiferi, ancora accesi, luminosi e soprattutto…eretti.
Mentre stava sfogliando la rubrica alla ricerca del numero di cui necessitava, vide che una macchina le stava vicino. Ne scese una figura tarchiata che, coprendosi goffamente la testa con un quotidiano, le si avvicinò chiedendo: “Ehi tutto bene? Ti sei fatta male? Serve un aiuto?”. Lorenza era esterrefatta e non sapeva se era più stupida la domanda ricevuta o la risposta ovvia che stava per fornire: “Devi essere un tizio perspicace a mille! Si mi sono fatta male e non riesco a camminare,” disse stizzita ” per favore fammi entrare in macchina fino a quando non mi verranno a prendere, è questione di pochi minuti…”.
L’uomo rispose che andava bene e, mettendosi il giornale sotto braccio, la aiutò a salire nella macchina tedesca che aveva comprato da un concessionario di auto usate poche ore prima, il venditore l’aveva convinto dicendo che neanche col peggiore degli incidenti l’avrebbe mai messa fuori uso.


Michele Brugiolo

lunedì 14 gennaio 2013

4_ I pioppi cipressini

Ad un certo punto una forte sensazione di vertigine la colse, la stessa di una caduta durante il sonno, talmente fastidiosa da riportarla tutta ad un tratto a fare di nuovo i conti con la realtà. Aperti gli occhi avvertì di non avere più la terra sotto i piedi, un attimo di panico la colse prima di accorgersi che qualcuno la stava portando, come un peso morto, in braccio, si girò e riconobbe gli occhiali ed il naso dell’uomo a cui fino a pochi minuti prima aveva sbraitato contro. Forse esagerando, pensò.
Quell’uomo non molto alto (Laura aveva la sensazione che, con buona probabilità, dei due, la più alta fosse lei), grassoccio, sudava ed ansimava per la fatica e per giunta gli si erano pure appannate le lenti degli occhiali. Sentiva le sue mani che la reggevano, la sinistra infilata sotto l’ascella mentre con la destra le afferrava una coscia nel tentativo di dare maggiore stabilità al braccio che stava improvvisando a seggiola. Sentiva le goffe dita di lui che sprofondavano fra i suoi abiti, certo non c’era malizia alcuna in quelle mani e certo fra la sua pelle e le dita di lui c’erano abbondanti strati di cotone ed il panno in lana del montgomery verde ad interporsi, ma il pensare che un estraneo e, soprattutto un tipo del genere la stesse toccando… rabbrividì e nello svincolarsi cadde a terra.
Avvertì il terriccio umido della campagna sotto i piedi scalzi e sui palmi delle mani, si guardò intorno ed altro non vedeva che lunghe distese di campi, infinita campagna interrotta soltanto da qualche fosso che scintillava alla luce del primo quarto di luna ed un filare di pioppi cipressini




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Nient’altro. Non una casa, non una strada asfaltata, né fari di macchine in lontananza o finestre di case illuminate.
La colse il panico e senza pensare cominciò di nuovo a urlargli contro, una valanga di imprecazioni, offese e domande, lui che se ne stava lì in piedi a fissarla, inebetito senza aprir bocca, non sapeva cosa fare, cosa risponderle. La situazione per lui non era facile, ma era giunto il momento di spiegarle chi fosse, raccontarle la sua storia, che incombeva ancora più scomoda ora che si trovava nel bel mezzo del nulla con una sconosciuta, forse persino minorenne ed una macchina, la sua vecchia Mercedes SEC, uscita di strada. Ma ora dovevano, insieme, decidere sul da farsi. Trovare una qualche soluzione.
Velocemente nella sua testa ricompose gli avvenimenti che gli erano accaduti in quegli ultimi sette anni, sette anni che avrebbe voluto cancellare, cercò quindi di mettere assieme le parole per costruire le frasi che servivano a dar forma a quel racconto che mai avrebbe voluto dover raccontare, ma che ora era costretto a fare. “Stai bene?”, Laura si era calmata e alzatasi cercò, per quanto quel buio le permettesse di fare, di darsi un’occhiata generale, sembrava essere tutto a posto, aveva solo i jeans un po’ sporchi di terra ed ora, era senza entrambe le infradito.
Alzò lo sguardo verso di lui, ma senza più rabbia. Per la prima volta lo guardò attentamente alla luce della luna che tutto sommato abbastanza bene illuminava la notte ed il suo volto. Improvvisamente Laura si mise a ridere, anche se cercava di farlo a denti stretti per non farsi notare da lui, doveva continuare a mantenere la parte della dura, della furibonda, ma non riuscendoci decise di giocare a carte scoperte, anche lei.  Non aveva più voglia di recitare quella parte, così decise di abbozzare un sorriso e spiegare il perché di quell’improvviso momento di ilarità, “Vedo che il rosa ti dona!”, l’uomo inizialmente non capendo, abbassò lo sguardo cercando di darsi un’occhiata e vide le bretelle dei manici dello zaino di lei, intuì la buffa immagine di sé che le stava restituendo con indosso quello zainetto rosa. “Certo che mi dona, ho un completo blu addosso!”. Forse non era poi così tonto e forse aveva anche un briciolo di umorismo. Ma proprio non c’eravamo con la musica, né tanto meno con la guida.
“Certo che come autista fai proprio schifo… Spiegami come si fa ad uscire di strada andando ai 60 all’ora in una strada come quella, perché, davvero… Che frana!” “Già, ma il parabrezza appannato… e quella macchina che è sbucata dal nulla tentando un sorpasso impossibile, o sbandavo o ci andavamo addosso, non è che ci fossero molte altre alternative, ragazzina! L’importante è che tu non ti sia fatta male, non te ne sei fatta, vero?” “No, non mi pare… mi sento ok, considerato quello che è appena accaduto, comunque piantala di chiamarmi ragazzina, non sono così piccola, che ti credi?” “E quanti anni avresti? Quindici? Sedici?” “No, venticinque!”

Brigitta Destro

martedì 8 gennaio 2013

3_ Il trombonista

Quel naso però iniziò ad agitarsi in preda al nervosismo, segno che qualcosa stava turbando i pensieri della sua passeggera. E' vero che Laura si augurava di essere interrogata in qualche modo ma una domanda che portasse con sé una sorta di preconcetto implicito era l’ultima cosa che lei voleva sentire Il tipico modo fasullo che sua madre aveva di  interessarsi della sua vita era proprio quello: chiedere affermando la propria idea.
Ed infatti improvvisamente sbottò con voce acuta: “Casini? Che genere di casini intendi? Forse dovresti pensare prima di dare un passaggio a qualcuno se quel qualcuno ha l’aria di qualcuno che ha combinato qualche casino! Perché si da il fatto che il mondo sia pieno di tanti qualcuno che combinano casini! Perciò se hai voglia di giudicarmi in base a non so quale identikit del qualcuno casinista che hai in mente tu” (solo qui riprese fiato) “fa pure ma prima ferma la macchina e fammi uscire, non ho nessuna intenzione di lasciarmi infastidire da un qualcuno che non sa neanche a che velocità sta andando perché ha una macchina del paleolitico e ascolta musica orrenda!”
Silenzio.
Era successo tutto così rapidamente che l’unica reazione dell’uomo fu quella di smettere di fissare la sua passeggera, spegnere l’autoradio e ricominciare a guardare dritto davanti a sé tenendo il volante talmente stretto da far sbiancare le nocche delle dita.
Anche Laura era talmente scioccata dalla sua stessa reazione che non accennò neanche ad un movimento per paura che l’uomo, spazientendosi, accostasse e la obbligasse veramente a scendere, cosa che avrebbe complicato notevolmente il suo piano di fuga verso il mondo.
Passarono molte auto in senso opposto ma le espressioni che i fanali illuminavano erano pressoché granitiche fino a quando l’uomo, che evidentemente evitava di respirare a pieno per non distruggere quell'atmosfera da quiete prima della tempesta, fece entrare nei polmoni una buona dose d’aria gonfiando il petto come chi, atteggiandosi, sta per dire qualcosa di scontato. Rimase in quella strana posa rigonfia per qualche secondo, aprì la bocca, roteò entrambi gli occhi verso destra cercando di carpire l’espressione sul volto della sua passeggera e… espirò rumorosamente dalla bocca senza proferire parola ma appannando vistosamente il parabrezza.
Il secondo rumore che incrinò pericolosamente quell'onirico silenzio fu provocato dallo sfregamento della manica sinistra del guidatore contro il vetro nel tentativo di spannarlo e tornare finalmente a vedere decentemente la strada.
Il tutto prese una piega talmente surreale da diventare ridicolo, il suono penetrante e buffo dello strofinio sembrava avere lo stesso effetto del solletico su Laura, di li a poco si mise a sghignazzare rumorosamente stringendo i denti per non farsi notare.
L’autista smise di lottare con il parabrezza optando per l’apertura di un finestrino (dato che l’auto non era provvista di aria condizionata), si rimise a sedere correttamente guardando di nuovo la ragazza esclamando: “Magari non sarai un qualcuno che ha combinato casini, ma sei strana forte! Ti sembra il modo di urla…” ”FRENAAAAAAAA!”…
Silenzio.
Un silenzio dal rumore completamente diverso rispetto a quello di prima, non c’era più imbarazzo nell'aria ne tanto meno timidezza.
Laura riprese lentamente i sensi sbattendo le palpebre come al suono della sveglia dopo una notte tormentata,  non ricordava bene cosa fosse successo ma il suo stesso grido le rimbombava ancora in testa. Riebbe improvvisamente la percezione del suo corpo e capì che non era sdraiata ma in una strana posizione seduta con i piedi a penzoloni. Passarono altri momenti dalla lunghezza indefinita prima che Laura riuscisse a percepire una voce lontana, apparteneva ad un uomo ma ogni parola giungeva alle sue orecchie ovattata e distorta. Tutto questo le ricordò la voce degli adulti nella versione animata del fumetto “The peanuts”. I “grandi” parlavano in un gergo incomprensibile caratterizzato da suoni simili ad una prima lezione di trombone eseguita da un allievo per nulla dotato.





Col tempo il trombonista in erba riuscì a rischiarare il suo suono permettendo a Laura di percepire parole sconnesse che registrò mentalmente: ”…vecchia” “…che cazzo ci faceva…” “…ragazzina idiota…” “…prendono non esco più…”.
L’ultimo pensiero che la scosse rifacendole perdere i sensi fu il rendersi conto che aveva perso il coltellino, il suo unico strumento di autodifesa e così, mentre l’inesperto trombonista ricominciava a sbrodolare le note della sua imbarazzante esibizione, Laura chiuse gli occhi. Fu di nuovo silenzio, un silenzio pieno di vergogna perché senza applausi.


Michele Brugiolo

lunedì 7 gennaio 2013

2_ L'abito da sposa

Eccolo quell’imbarazzante momento in cui due sconosciuti si ritrovano l’uno accanto all’altra, quel momento esatto in cui una domanda sorge spontanea: ed ora, cosa faccio? Che sia il caso di restare in silenzio o di accennare un qualche discorso stereotipato, magari, come si fa sempre, iniziando a parlare del tempo e delle previsioni meteo che preannunciano il medesimo “inverno più freddo degli ultimi cinque anni”?
Quel tipo bizzarro invece, sembrava non trapelare il benché minimo disagio nell’avere quella giovane ragazza, tirata su nel cuore della notte, seduta sul sedile a fianco del suo, pareva non curarsene al punto tale di essersene scordato, mentre lei impaziente era lì ad aspettare chissà quale interrogatorio. Era abituata così, doveva sempre, in ogni singolo momento della sua vita, rendere conto di qualcosa a qualcuno e quel silenzio la stava cominciando ad irritare.
Lo osservava attentamente, cercando di capire quanto più possibile di quell’uomo che aveva deciso di portarla verso un dove che ancora non conosceva, a cui aveva deciso di dare fiducia, anche se il coltellino era ancora ben stretto nella mano. Peccato che pochissime cose le risultassero chiare e fra queste era il pessimo gusto musicale del suo autista, anche se di capire esattamente di che musica si trattasse poco le importava, voleva solo che quella musicassetta terminasse e, in fretta.
“Mi hai fatta salire anche se non sono in abito da sposa?”, 




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una caratteristica di Laura era quella di saltarsene fuori con domande del tutto insensate, o meglio, di un senso che solo lei capiva, anche se c’erano un paio di persone che le riuscivano a stare dietro a quei suoi ragionamenti così contorti, forse perché avevano deciso di conoscerla per davvero, avevano deciso di condividere aspetti anche profondi di ciò che sta dietro a quello che la quotidianità può far apparire spesso come banale e noioso, “Cosa stai blaterando ragazzina, sicura di stare bene?” “No, niente… era riferito ad un
libro che stavo leggendo e che, con la fortuna che mi ritrovo, non riuscirò a completarne la lettura, visto le quattro robe che mi sono portata dietro… se c’è una cosa che proprio non sopporto è quella di lasciare un libro a poche pagine dalla fine, la fine è importante, la fine, quando una cosa è fatta bene, dà senso al tutto!” “No, scusa la domanda… tu non stai bene, non stai bene per niente!” disse l’uomo ridendo. Aver deciso di dare un passaggio alla ragazza forse non si era rivelata una scelta tanto sbagliata visto che averla lì al suo fianco stava cominciando a metterlo di buonumore, aveva cominciato a considerare interessante il suo passeggero e se non proprio interessante per lo meno ne era incuriosito. 
Non era dello stesso parere Laura, che alla risata di lui, si sentiva presa in giro e dentro di sé cominciava a pensare che forse, era un tipo ordinario al quale era meglio parlare del tempo e che, come suo solito lei straparlava e stava facendo la figura della scema. Ma niente era più lontano dalla verità, lui ora era felice, avrebbe avuto voglia di porle migliaia di domande, cosa che non era da lui così avvezzo alla solitudine, condizione a cui si era abituato e che tutto sommato gli piaceva. “Se posso chiederti, hai combinato qualche casino in giro?” e nel chiederlo si girò ad osservarla, cosa che fino a quel momento non aveva avuto la minima necessità di fare, ma ora era curioso di guardare meglio che volto avesse la ragazza. Mentre la ascoltava, per quel poco che il buio permetteva di mostrargli, osservava un viso spazientito, illuminato dall’alternarsi dei fanali delle poche macchine che incrociava lungo la strada, i capelli erano molto lunghi, castani e lei era carina, forse aveva qualche lentiggine in volto, ma era troppo buio per esserne certo, naso all’insù e delle ciglia molto folte.  “Quel naso”, pensava fra sé, “le sta bene, è in linea con quel carattere impertinente che si ritrova”, ma era consapevole che l’impertinenza era una maschera per non mostrarsi "debole" agli occhi di uno sconosciuto che aveva deciso di farla salire, di notte, a bordo di una macchina scassata.

Brigitta Destro

giovedì 3 gennaio 2013

1_ L'infradito

Pollice in su, pollice in su, pollice in su…Niente da fare.
“La gente oggigiorno diventa sempre più diffidente”. Quanto avrebbe voluto vivere negli anni ’70, all’epoca, o almeno così aveva sentito dire, la gente era molto più aperta e disponibile a dare un passaggio. Certo i pc e gli smartphone ancora non esistevano ma era un prezzo che avrebbe volentieri pagato pur di ritrovarsi in una società a sé più congeniale. Sarebbe stato ancora più bello poter viaggiare nel tempo senza perdere la memoria ma sfruttando la conoscenza del ventunesimo secolo per arricchirsi prima degli inventori che rivoluzionarono le nostre vite… e anche le loro!
Pollice in su… Ancora niente.
Chiedere un passaggio avendo abiti sgualciti ed evidenti segni di stanchezza sul volto (per non parlare del fatto che non indossava scarpe ma infradito in autunno inoltrato) poteva sembrare un’operazione disperata, ma si sa che qualsiasi nave dispersa in una notte tempestosa scambia ogni riflesso che vede per un faro guida.
Questa era proprio la sua situazione, si sentiva molto solidale con queste povere imbarcazioni pur con la consapevolezza che il 95% di esse sprofondano negli abissi dopo aver cozzato contro un ostacolo reso invisibile dalla notte, ammirava il fatto che fino all’ultimo lottassero per ritrovare la rotta e, all’ultimo, per rimanere a galla.
Cosa ancor più strana, e che di fatto differenziava la sua vita da quelle imbarcazioni, era che aveva fatto da sé la scelta di sabotare il proprio timone. Esatto, aveva preferito la precarietà alla stabilità, l’incertezza all'agiatezza  cosa inaccettabile per la società odierna che etichetta tutti in base al ruolo sociale e ancor più inaccettabile per sua madre che portava un’etichetta sulla fronte più grande di lei, lo faceva pure con orgoglio sventolandola in faccia a tutti, soprattutto ai suoi tre figli. Era proprio quello il punto: non voleva un ruolo sociale, o almeno non quello che avrebbe dovuto subire.
Ah! Gli anni ’70! Quello era il suo posto, li c’era il tempo per passare una giovinezza che valesse veramente la pena di essere vissuta, poco importava se poi quasi tutti quei splendidi esemplari di capelloni sentimentalmente lascivi si fossero fatti assorbire dalla società che criticavano, l’importante era aver vissuto l’adolescenza da uomini liberi! Per troppo tempo aveva sognato, era arrivato il momento di passare all'azione e cercare di realizzare quel desiderio, per quanto vago e indistinto fosse.
Pollice in su… Pollice in su… Un’altra delusione, anzi due.
Nonostante lo sconforto si stesse facendo largo tra i suoi pensieri, non poteva fare a meno di accennare inconsciamente un sorriso ogni volta che alzava il suo pollice destro, pensava sempre al suo social network preferito e a tutte quelle ore perse a “comunicare” pur non avendo nulla da dire. Badate bene che non stava fuggendo dalla tecnologia, anzi, quello forse era il distacco più doloroso che a malincuore aveva accettato infatti… un’altra macchina stava per arrivare!
Pollice in su… Rallenta!

Finalmente qualcuno sembra averla notata, gli altri automobilisti dopo aver soddisfatto la propria curiosità iniziale, facevano finta di non vederla mentre le passavano accanto accelerando a debita distanza. L’auto non era granché, il colore era forse uno dei più brutti che avesse mai visto (una sorta di verde militare opaco) e l’età probabilmente superava la sua (doveva essere una vecchia macchina tedesca di fine anni ’80 o almeno così pensava) ma non era certo nella situazione di potersi lamentare, il suo viaggio forse poteva finalmente proseguire. Dopo aver abbassato il finestrino una striata voce maschile le chiese “Dove devi andare?”“Dove devi andare tu?” rispose cercando di scorgere il volto del suo interlocutore completamente avvolto nell'oscurità della notte avvalorata dal cruscotto privo di led funzionanti, riusciva solo a scorgere il riflesso di un paio di occhiali ovali (decisamente fuori moda) ed un naso leggermente a patata.“Facciamo una cosa” riprese lui “sali e ne parliamo, non sopporto di dover rimanere troppo a lungo sul ciglio della strada di notte, soprattutto parlando ad una ragazza, non vorrei mai che qualche sbirro ci scambiasse per una prostituta ed il suo cliente… non ho proprio voglia di farmi notare da quei tizi”. Il buon senso di Laura gridava “PE-RI-CO-LO” in tutte le lingue che conosceva, ma dopo un pomeriggio perso senza risultati in compagnia della paura di farsi scoprire, decise di accettare. In fondo nemmeno lei voleva farsi notare da “quei tizi” che sicuramente erano già stati sguinzagliati dalla madre con la promessa di una lauta ricompensa per chi l’avesse riportata tra le sue “amorevoli” braccia. “Ok” rispose di spalle mentre con le mani frugava lo zaino alla ricerca del coltellino multiuso  omaggio ricevuto in uno spaccio di vestiti a basso costo frequentato da lei nonostante lo sdegno della madre. Infine lo trovò e lo nascose nel pugno destro persuasa che non lo avrebbe lasciato per un bel po’ di tempo. Dopo aver caricato il suo zaino sul sedile posteriore, aprì la porta del passeggero e si sedette. Lui non aspettò nemmeno che richiudesse lo sportello né tanto meno che si allacciasse la cintura, semplicemente iniziò ad accelerare quando lei stava ancora staccando il piede destro dall'asfalto.  Finalmente aveva ottenuto un passaggio, ma anche una ciabatta di meno.




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Michele Brugiolo

Descrizione del progetto

L’idea di scrivere un “romanzo improvvisato” nacque agli autori in seguito ad un’amichevole colazione organizzata dopo essersi persi di vista per anni. I temi trattati durante l’incontro spaziavano dalle intolleranze alimentari (con conseguenze più o meno gravi) alla scarsa fiducia riposta in un domani professionalmente soddisfacente.
Tra una lamentela e l’altra i due arzilli ventiseienni iniziarono a parlare dei loro blog evidenziando una comune passione: la scrittura e la condivisione dei loro pensieri in maniera libera ed aperta a tutti.
Ecco quindi che scrivere rappresentava un buon modo per impiegare il troppo tempo libero (ed infruttuoso). 
Ma cos'è il “romanzo improvvisato”? 
Non è altro che un racconto dinamico che prende vita post dopo post in base all'ultimo pubblicato senza che i due autori si siano messi d’accordo su genere, trama, personaggi, ambientazioni eccetera… 
Brigitta Destro e Michele Brugiolo si alterneranno nella stesura di questo romanzo che si preannuncia, se non altro, sicuramente vivo, imprevedibile e caratterizzato da una buona dose di schizofrenia!
Buona lettura!


Brigitta Destro                                                                                                                                                        Michele Brugiolo