“Venerdì 9 aprile 2010 cielo
parzialmente nuvoloso per presenza di velature con tendenza all'intensificazione
della nuvolosità nel tardo
pomeriggio/sera.”
Giulio,
suo marito, era appena uscito di casa per recarsi al lavoro e, Lorenza, si
stava freneticamente preparando per recarsi al suo.
Mentre
trangugiava una banana ancora visibilmente acerba con la bocca piena di caffè
amaro si truccava alla buona (evitava il più possibile di farlo perché questo
le ricordava la madre sempre imbellettata e vestita come se un principe azzurro
avesse dovuto rapirla da un momento all’altro, 24 ore al giorno, 365 giorni all’anno!).
Amava
il suo nuovo lavoro, entrare in quella vecchia libreria di paese con tutti quei
libri in disordine da sistemare, spolverare e consigliare. Adorava il loro odore
e, sorridendo, spesso pensava che avrebbe dovuto trovare il modo per
convogliare quella fragranza in un profumo dandogli magari un nome francese
tipo “Eau de culture”.
Pur
non essendo una grande mangiatrice, i libri che preferiva sfogliare nei momenti
di pausa a lavoro erano quelli di cucina, adorava come la commistione di una
semplice lista di ingredienti potesse miracolosamente animarsi nella sua testa
per dar forma a quella pietanza così artificiosamente resa nella foto
sottostante; li vedeva danzare su di un tavolo, volteggiare sopra le pentole
per poi cuocere allegramente su fornelli dalle fiamme fucsia. Purtroppo però
tutte le sue ricette avevano sempre lo stesso profumo: carta stampata.
Le
giornate volavano veloci come la sua fantasia e pure quella non fece eccezione,
alle 16 in punto, dopo aver salutato i suoi amati tomi, si diresse a passo
sicuro verso l’uscita della libreria.
Chiuse
la porta alle sue spalle salutando il proprietario con un gesto della mano e si
mise a cercare nella borsa le chiavi del lucchetto della bicicletta.
“Dovrebbero
inventare delle chiavi che galleggino all’interno delle borse, è mai possibile
che riescano sempre a infilarsi nei meandri più oscuri e irraggiun…” un dolore
molto forte alla spalla fermò la sua riflessione a denti stretti, si ritrovò a
terra con gli occhi impolverati, li strofinò con vigore per vedere poi che un
ladro stava scappando con la sua borsetta in mano.
Presa
da una rabbia cieca si alzò di scatto mettendosi a correre come una forsennata
per raggiungerlo, lei era allenata e quel malvivente sembrava un po’ troppo
grosso per poterle sfuggire agilmente. Nonostante questa considerazione le
sembrò che l’uomo stesse correndo ben al di sotto delle sue possibilità, quasi
come se volesse essere raggiunto… non fece più di tanto caso a questo pensiero
e si concentrò solamente nella corsa, ormai le mancava poco per raggiungerlo (ringraziò sé stessa per aver deciso di andare a lavoro in bicicletta e di aver quindi scelto
calzature consone), il ladro svoltò bruscamente in un vicolo ma Lorenza non si
fece fregare usando tutta la sua agilità per cambiare direzione, superò una
serie di cassonetti e… si ritrovò l’uomo incappucciato con un passamontagna
nero davanti… e non era solo.
In
quel vicolo di quartiere dimenticato anche dai suoi stessi abitanti c’erano
altri 2 uomini dal volto coperto ed una macchina bianca della quale non
riconobbe la marca.
Senza
battere ciglio il ladro gettò la borsa all’interno del bagagliaio della
macchina e incominciò minacciosamente ad avanzare verso di lei.
Lorenza
realizzò allora che il vero bersaglio dei malviventi non era la borsetta, ma
lei!
Che stupida era stata, doveva capirlo che quell'uomo non stava scappando
ma semplicemente si stava facendo seguire allontanandosi dal centro abitato.
Probabilmente sapevano chi era e da che famiglia proveniva potevano essere
operai licenziati dal padre che volevano vendicarsi (aveva sentito parlare di
situazioni di tensione tra i sindacati e i dirigenti della ditta del padre per
i tagli al personale durante un TG regionale quella settimana), non poteva
nemmeno escludere totalmente che fossero professionisti di rapimenti e che l’avessero
adocchiata semplicemente perché era una bella donna pur senza sapere che
gallina dalle uova d’oro fosse.
Tutti
questi pensieri vennero increspati come uno stagno nel quale viene gettato un
sasso dalla voce dell’autista della macchina, l’unico a essere seduto in
macchina, a non essere mascherato e ad indossare abiti normali, anzi, da uomo d’affari.
Disse attraverso il finestrino abbassato con voce bassa e cavernosa (probabilmente
amplificata dallo stretto vicolo in cui lei stupidamente era andata ad
infilarsi): “Due sono le cose… o vieni con noi senza fare storie e senza farti
male, oppure provi a scappare e urlare… anche in questo secondo caso verrai con
noi ma saremo costretti a farti del male… e a noi piace molto fare del male… quindi ti prego, urla e
prova a scappare!”
Gli
altri uomini si guardavano tra di loro mutando l’inespressività dei volti
coperti dai passamontagna in grottesche maschere sorridenti, ma solo il ladro
che l’aveva scippata sorrideva con i denti e, Lorenza non riuscì a non notarlo,
l’oro di uno dei suoi denti stava benissimo accanto al nero cupo del
passamontagna e di tutta quella stramaledetta situazione.
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Non
disse nulla, semplicemente chinò la testa e, capendo l’impossibilità di
fuggire, decise di entrare in macchina tra gli sguardi delusi dei malviventi,
prima di salire però fissò con aria di sfida l’uomo con il dente d’oro per
diversi secondi, questo le procurò un attimo di distrazione generale che le
diede la possibilità di far lentamente scivolare il suo braccialetto di legno
nero lucido per terra, ma le procurò anche un ceffone in pieno volto e le
risate sadiche dei suoi rapitori.
Michele Brugiolo
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