mercoledì 16 gennaio 2013

5_ I fiammiferi giganti


Le piaceva correre più di ogni altra cosa al mondo. Pensava che se alla sua età non si fosse data da fare per tenersi in forma sarebbe invecchiata molto velocemente. Voleva mantenere la fama di donna più bella dell’ufficio e lo voleva a tutti i costi nonostante l’assunzione di nuove apprendiste tanto giovani quanto smaliziate.
Lorenza correva ormai da mezzora lungo la strada che costeggiava il boschetto del suo ridente paesino. Era conscia del fatto che l’unico a sorridergli era proprio il paesino perché gli abitanti odiavano la sua famiglia e, nel vederla, provavano lo stesso sentimento anche nei suoi confronti presi dalla stessa ignoranza che qualche secolo fa aveva fatto strage di “streghe” nei paesi infestati dall’inquisizione.
Amava correre perché le dava un senso di libertà e di leggerezza. Sentire l’aria fredda della sera che le pizzicava le guance rendendole irrimediabilmente rosse per ore la faceva sentire viva.
Lorenza disprezzava i suoi genitori tanto quanto i suoi compaesani ma, schiacciata dall’autorità del padre che l’avrebbe voluta alla guida delle aziende di famiglia al momento della sua morte, non aveva mai avuto il coraggio di andarsene per cercare una sua strada.
A dire il vero, una volta,  aveva provato a farlo ma la notizia della malattia del padre l’aveva fatta desistere dal partire. Nonostante i suoi genitori fossero persone completamente diverse da lei, non riusciva a voltare le spalle all’uomo che l’aveva generata sapendo che stava per morire.
Neanche al momento della diagnosi li aveva visto piangere, erano persone emotivamente morte, o più probabilmente mai nate. Evidentemente stavano assieme solo per interesse dato che entrambi erano ereditieri di società molto importanti una volta rivali tra loro.
Lorenza era figlia unica ed era grata a Dio di essere nata dato lo scarso interesse affettivo che la madre dimostrava per suo padre.
Cercò di scacciare quei pensieri nei quali si era più volte immersa senza trovare conforto se non nella corsa.
Si accorse solo allora che era rimasta ben poca luce e che le nuvole da bianche pecore di zucchero filato erano diventate  nere onde di petrolio. Guardò l’orologio-conta passi che aveva allacciato al braccio e vide che si era fatto tardi, spesso correva più veloce con la mente che con le gambe e, senza accorgersi, si ritrovava nel buoi, lontana da casa e senza più energie. A volte chiamava uno degli autisti di famiglia ma altre volte optava per un ritorno a piedi, tanto, i suoi genitori, non si sono mai preoccupati troppo della sua assenza, anzi probabilmente non la notavano neppure.
Durante l’adolescenza aveva cercato disperatamente di farsi largo nei loro cuori sia nel bene che nel male: aveva alternato anni scolastici da prima della classe a condotte teppistiche accompagnate da continui richiami ai famigliari che, per loro conto, inviavano i governanti a parlare con il preside.
All'università poi, se l’era presa molto con calma, frequentava più ragazzi che lezioni scegliendo accuratamente quelli più scapestrati e pericolosi.
Aveva anche provato a portarne qualcuno a casa senza riuscire a suscitare nessun tipo di interesse o di sdegno da parte dei famigliari. Quando capì che anche quella tattica era inutile, si rassegnò e finì in breve tempo il suo percorso universitario con ottimi risultati tra lo stupore dei suoi ex compagni e i frammenti di cuori spezzati dei suoi ex ragazzi.
Quella sera non aveva voglia di chiamare nessuno, si girò sui suoi passi e, aprendo vistosamente le braccia per permettere alla respirazione di rallentare il battito cardiaco, cominciò a camminare.
Alternava passi ben distesi a bracciate e boccate d’aria in modo un po’ scoordinato ma comunque efficace. Stava ben attenta a non inspirare nei momenti in cui passavano le macchine ma sceglieva sempre strade poco trafficate e con larghe piste pedonali.
Una goccia d’acqua si posò sul suo naso leggermente aquilino incrociandole gli occhi, si stava per mettere a piovere. Lorenza amava il caldo e odiava le docce fredde, pur essendo quasi esausta si obbligò a rimettersi a correre per evitare la pioggia o, per lo meno, per trovare un posto dove poter aspettare all'asciutto l’arrivo dell’autista una volta chiamato.
Altre gocce andarono a posarsi tra i suoi lunghi capelli rossi quasi ricci mentre altre ancora le bagnavano le labbra sottili, lei le assaggiò trovandole senza gusto come la sua vita.
Aveva davanti un viale di lampioni accesi a poca distanza l’uno dall'altro  le sembravano tanti fiammiferi giganti che iniziavano a preoccuparsi della pioggia. Quell'immagine mentale le ricordò il mondo fatato nel quale si rifugiava da piccola: un posto dove la magia sostituiva la tecnologia e gli esseri umani erano banditi, tutti tranne lei.



Per una persona amante del jogging non avere i piedi per terra e la testa per aria può risultare pericoloso. Lorenza infatti non si rese conto che il terreno asfaltato stava lasciando il posto a una terra battuta molto più dissestata, una buca ingannò i suoi passi stanchi ma sicuri facendola cadere a terra. Distorsione alla caviglia.
Aveva letto che c’erano vari livelli di distorsione ma, qualsiasi fosse il suo, non le permetteva di reggersi in piedi e faceva dannatamente male.
Un sussulto di rabbia e dolore si presentò ai suoi denti serrati mentre, nervosa più che mai, estraeva il cellulare per chiamare l’autista . La pioggia aumentava.
Il dolore stava diventando sempre più insistente cosa che le fece invidiare i suoi amici fiammiferi, ancora accesi, luminosi e soprattutto…eretti.
Mentre stava sfogliando la rubrica alla ricerca del numero di cui necessitava, vide che una macchina le stava vicino. Ne scese una figura tarchiata che, coprendosi goffamente la testa con un quotidiano, le si avvicinò chiedendo: “Ehi tutto bene? Ti sei fatta male? Serve un aiuto?”. Lorenza era esterrefatta e non sapeva se era più stupida la domanda ricevuta o la risposta ovvia che stava per fornire: “Devi essere un tizio perspicace a mille! Si mi sono fatta male e non riesco a camminare,” disse stizzita ” per favore fammi entrare in macchina fino a quando non mi verranno a prendere, è questione di pochi minuti…”.
L’uomo rispose che andava bene e, mettendosi il giornale sotto braccio, la aiutò a salire nella macchina tedesca che aveva comprato da un concessionario di auto usate poche ore prima, il venditore l’aveva convinto dicendo che neanche col peggiore degli incidenti l’avrebbe mai messa fuori uso.


Michele Brugiolo

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