martedì 5 febbraio 2013

7_Il dente d'oro


“Venerdì 9 aprile 2010 cielo parzialmente nuvoloso per presenza di velature con tendenza all'intensificazione della nuvolosità nel  tardo pomeriggio/sera.
Giulio, suo marito, era appena uscito di casa per recarsi al lavoro e, Lorenza, si stava freneticamente preparando per recarsi al suo.
Mentre trangugiava una banana ancora visibilmente acerba con la bocca piena di caffè amaro si truccava alla buona (evitava il più possibile di farlo perché questo le ricordava la madre sempre imbellettata e vestita come se un principe azzurro avesse dovuto rapirla da un momento all’altro, 24 ore al giorno, 365 giorni all’anno!).
Amava il suo nuovo lavoro, entrare in quella vecchia libreria di paese con tutti quei libri in disordine da sistemare, spolverare e consigliare. Adorava il loro odore e, sorridendo, spesso pensava che avrebbe dovuto trovare il modo per convogliare quella fragranza in un profumo dandogli magari un nome francese tipo “Eau de culture”.
Pur non essendo una grande mangiatrice, i libri che preferiva sfogliare nei momenti di pausa a lavoro erano quelli di cucina, adorava come la commistione di una semplice lista di ingredienti potesse miracolosamente animarsi nella sua testa per dar forma a quella pietanza così artificiosamente resa nella foto sottostante; li vedeva danzare su di un tavolo, volteggiare sopra le pentole per poi cuocere allegramente su fornelli dalle fiamme fucsia. Purtroppo però tutte le sue ricette avevano sempre lo stesso profumo: carta stampata.
Le giornate volavano veloci come la sua fantasia e pure quella non fece eccezione, alle 16 in punto, dopo aver salutato i suoi amati tomi, si diresse a passo sicuro verso l’uscita della libreria.
Chiuse la porta alle sue spalle salutando il proprietario con un gesto della mano e si mise a cercare nella borsa le chiavi del lucchetto della bicicletta.
“Dovrebbero inventare delle chiavi che galleggino all’interno delle borse, è mai possibile che riescano sempre a infilarsi nei meandri più oscuri e irraggiun…” un dolore molto forte alla spalla fermò la sua riflessione a denti stretti, si ritrovò a terra con gli occhi impolverati, li strofinò con vigore per vedere poi che un ladro stava scappando con la sua borsetta in mano.
Presa da una rabbia cieca si alzò di scatto mettendosi a correre come una forsennata per raggiungerlo, lei era allenata e quel malvivente sembrava un po’ troppo grosso per poterle sfuggire agilmente. Nonostante questa considerazione le sembrò che l’uomo stesse correndo ben al di sotto delle sue possibilità, quasi come se volesse essere raggiunto… non fece più di tanto caso a questo pensiero e si concentrò solamente nella corsa, ormai le mancava poco per raggiungerlo (ringraziò sé stessa per aver deciso di andare a lavoro in bicicletta e di aver quindi scelto calzature consone), il ladro svoltò bruscamente in un vicolo ma Lorenza non si fece fregare usando tutta la sua agilità per cambiare direzione, superò una serie di cassonetti e… si ritrovò l’uomo incappucciato con un passamontagna nero davanti… e non era solo.
In quel vicolo di quartiere dimenticato anche dai suoi stessi abitanti c’erano altri 2 uomini dal volto coperto ed una macchina bianca della quale non riconobbe la marca.
Senza battere ciglio il ladro gettò la borsa all’interno del bagagliaio della macchina e incominciò minacciosamente ad avanzare verso di lei.
Lorenza realizzò allora che il vero bersaglio dei malviventi non era la borsetta, ma lei! 
Che stupida era stata, doveva capirlo che quell'uomo non stava scappando ma semplicemente si stava facendo seguire allontanandosi dal centro abitato. Probabilmente sapevano chi era e da che famiglia proveniva potevano essere operai licenziati dal padre che volevano vendicarsi (aveva sentito parlare di situazioni di tensione tra i sindacati e i dirigenti della ditta del padre per i tagli al personale durante un TG regionale quella settimana), non poteva nemmeno escludere totalmente che fossero professionisti di rapimenti e che l’avessero adocchiata semplicemente perché era una bella donna pur senza sapere che gallina dalle uova d’oro fosse.
Tutti questi pensieri vennero increspati come uno stagno nel quale viene gettato un sasso dalla voce dell’autista della macchina, l’unico a essere seduto in macchina, a non essere mascherato e ad indossare abiti normali, anzi, da uomo d’affari. Disse attraverso il finestrino abbassato con voce bassa e cavernosa (probabilmente amplificata dallo stretto vicolo in cui lei stupidamente era andata ad infilarsi): “Due sono le cose… o vieni con noi senza fare storie e senza farti male, oppure provi a scappare e urlare… anche in questo secondo caso verrai con noi ma saremo costretti a farti del male… e a noi piace  molto fare del male… quindi ti prego, urla e prova a scappare!”
Gli altri uomini si guardavano tra di loro mutando l’inespressività dei volti coperti dai passamontagna in grottesche maschere sorridenti, ma solo il ladro che l’aveva scippata sorrideva con i denti e, Lorenza non riuscì a non notarlo, l’oro di uno dei suoi denti stava benissimo accanto al nero cupo del passamontagna e di tutta quella stramaledetta situazione.



Non disse nulla, semplicemente chinò la testa e, capendo l’impossibilità di fuggire, decise di entrare in macchina tra gli sguardi delusi dei malviventi, prima di salire però fissò con aria di sfida l’uomo con il dente d’oro per diversi secondi, questo le procurò un attimo di distrazione generale che le diede la possibilità di far lentamente scivolare il suo braccialetto di legno nero lucido per terra, ma le procurò anche un ceffone in pieno volto e le risate sadiche dei suoi rapitori.

Michele Brugiolo

Nessun commento:

Posta un commento